“Da ex golfista, a volte è difficile rimanere distaccato da quello che succede sotto i miei occhi. Ho dovuto imparare a gestire le emozioni e concentrarmi sulla foto da scattare. Ma ne vale la pena.”

Queste parole di Filippo Vianelli riassumono in pieno il suo amore per lo sport e per il suo lavoro di fotografo di golf professionista. È giovane, determinato e talentuoso, con un curriculum che riflette la sua versatilità e la necessità di mettersi sempre alla prova per vivere a pieno le sue passioni. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, essendo un collaboratore del nostro brand.

Filippo, raccontaci un po’ di te e partiamo dall’inizio: dove e quando sei nato?

Sono nato a Torino, il 5 ottobre del 1990. Lì ho passato la mia infanzia e adolescenza. Finito il liceo, sono andato in Sudafrica per un anno, per poi tornare di nuovo a Torino e frequentare l’Università (Economia aziendale). Da allora, seppur viaggiando molto, sono rimasto di base in Italia.


Come mai in Sudafrica?

È uno dei posti migliori per provarci seriamente con il golf, insieme agli USA e all’Inghilterra. Sono quindi andato in Sudafrica per capire se fossi portato per diventare un giocatore professionista, quindi dopo il diploma sono partito con un biglietto di sola andata. Lo scopo era quello di fare un’esperienza, giocare da solo, senza le pressioni della federazione. Quando sono tornato, un anno dopo, ho smesso di giocare a golf agonisticamente, senza però mai abbandonare completamente questo mondo.

Perché hai smesso? Parlaci un po’ di questa esperienza.

All’epoca, per mantenermi, mi allenavo di giorno e lavoravo come cameriere di sera. Giocavo bene, ma qualcosa non funzionava: mi accorgevo che nonostante tutti gli sforzi non ottenevo i risultati sperati. É stata un’esperienza che mi ha aperto gli occhi, perché mi ha reso consapevole del fatto che per quanto fossi bravo e avessi un buon livello di gioco, non non ero mentalmente pronto. Non avevo la stessa concentrazione e motivazione degli altri atleti con cui mi confrontavo e non sarei stato in grado di competere con i professionisti dell’European Tour. Ero troppo emotivo, mentre i miei avversari in confronto a me erano ghiaccio puro. Mi sono guardato allo specchio ed ho capito che non era quello che volevo fare nella vita. È stata una decisione matura fuori dal campo, dettata dal fatto che non ero maturo sul green.


Qual è stato il tuo percorso professionale?

Dopo l’università ho lavorato per gli eventi Rolex e per la US Kids Golf Italy con Lola Geerts per quattro anni poi ho lavorato per un po’ in un’agenzia di marketing sportivo. Ho curato l’organizzazione delle gare di golf per Alfa Romeo in tutta Europa, sono stato il Project Manager di tutto il circuito per due anni. È stata una parentesi altamente formativa della mia vita lavorativa, ho imparato molte cose che sono preziosissime anche nel mestiere di fotografo. Una su tutte? l’importanza della pianificazione.

Cosa ti ha fatto decidere di diventare fotografo di settore?

Mia madre era una grande appassionata di fotografia, anche se non era la sua professione, quindi posso dire di aver ereditato la passione da lei. L’ultimo anno di università l’ho trascorso a Londra ed è proprio in quei mesi che ho iniziato a vivere in simbiosi con la mia macchina fotografica. La portavo sempre con me, in qualsiasi occasione. A volte i miei amici mi “odiavano” per questo! Era diventata un’ossessione, volevo solo fotografare. Durante gli studi avevo altro in testa e, come dicevo, mi ero completamente distaccato dal Golf. Dopo la Laurea “ho iniziato a farci pace” ed ho unito queste due mie passioni: osservare questo sport attraverso l’obiettivo mi ha fatto rinascere, dentro ho sentito di nuovo quel fuoco che avevo da ragazzino. Dal 2014 lavoro come fotografo di settore e nel frattempo ho anche ripreso a giocare, ma in modo molto più sereno.


Quello con il golf è stato amore a prima vista?

Diciamo di sì. Ho conosciuto questo mondo facendo da caddie a mio padre, come aveva fatto mio fratello prima di me. All’epoca avevo 6-7 anni, ero molto energico e giocherellone: correvo e mi rotolavo sull’erba, mi arrampicavo sugli alberi. Ma per un po’ non sono stato così coinvolto dal golf: facevo atletica leggera ed essendo più bravino in quello, mi attirava anche di più. Poi sono arrivati i primi riscontri positivi anche lato golf: mi ero reso conto di essere tra i più promettenti in Italia, quindi dai 12 ai 20 anni mi sono dedicato totalmente a questo sport.

Da golfista a fotografo di golfisti: come è stare dall’altra parte dell’obiettivo?

Il mio background come atleta mi aiuta molto quando devo scattare. So quello che pensa il golfista in un determinato momento, mi immedesimo completamente e conosco i tempi e le dinamiche di gioco. Sono anche consapevole della posizione in cui devo mettermi per non disturbare l’atleta. Cerco di essere estremamente rispettoso e discreto, quasi invisibile durante le gare. Spesso durante le competizioni, quando il giocatore sta per colpire, si sentono le raffiche di click dei fotografi per tutta la durata dello swing... Io per rispetto cerco di scattare solo quando avviene il colpo. Da ex golfista a volte è difficile rimanere distaccato da quello che succede sotto i miei occhi, ho dovuto imparare a gestire le emozioni e concentrarmi sulla foto da scattare. Mi è capitato di assistere ad un colpo fenomenale di un mio eroe sportivo, con la folla che è esplosa in un boato, ed io ho dovuto contenere l’energia per immortalare quel momento intenso. Ma ne vale la pena.

C’è qualche foto che hai scattato di cui vai particolarmente fiero o a cui sei particolarmente legato?

Una in particolare ha segnato l’inizio della mia carriera come fotografo di golf ed è quella a cui sono più legato. L’ho scattata durante la prima edizione di U.S. Kids Venice Open in Italia, nell’agosto 2015. All’evento ho partecipato come organizzatore e, anche se non era richiesto, ho fatto moltissime foto perché già vivevo praticamente con la macchina al collo. C’è stato uno spareggio finale e durante il tramonto, complice la bellissima luce, ho immortalato il pubblico e i giocatori in un momento molto intenso e di altissima concentrazione. Questa foto è diventata poi l’immagine pubblicitaria della U.S. Kids a livello mondiale, la si trova anche a tutta parete nel loro Headquarter negli States, è comparsa su molte riviste e su siti internet di settore. Dopo quello scatto ho cominciato a prendere questo lavoro più seriamente.

Uno shooting che ti è rimasto nel cuore?

Quello sull’Old Course di St. Andrews, La Mecca del Golf. Anche lì al tramonto, c’era una luce sensazionale e io non mi volevo perdere un secondo. Avevo le lacrime agli occhi per l’entusiasmo, correvo sul campo per scattare il più possibile e portarmi a casa ogni momento di quella meraviglia.


Hai mai avuto l’occasione di giocare al St. Andrews?

Purtroppo no, è molto difficile accedere a quel campo essendo molto esclusivo. Ma sono riuscito a giocare sui campi vicini.

E al di fuori del campo da golf, dove ti è piaciuto di più scattare?

Al di fuori del green, ci sono diversi luoghi che ricordo con affetto. Ogni anno cerco di fare un viaggio con lo zaino in spalla e la macchina al collo, cercando di scattare il più possibile quello che mi circonda. Ho girato il Sudafrica in lungo e in largo. Sono stato anche a Cuba, che ho apprezzato nonostante la sua natura meno “selvaggia” e più turistica. Ma il viaggio in Etiopia è quello che mi ha segnato di più: lì ho visto cose che mi hanno meravigliato per la loro bellezza, ma anche una realtà cruda che mi ha cambiato e fatto riflettere; anche qui ho fatto scatti che hanno aiutato la mia carriera da fotografo.


Come organizzi i tuoi viaggi e gli spostamenti per lavoro?

Sono una persona molto organizzata quando si tratta di lavoro e di viaggi. Cerco sempre di programmare tutto il più possibile nei giorni precedenti, tenendo conto del tempo atmosferico, degli spostamenti che dovrò fare, oltre a preparare l’attrezzatura, l’auto, i bagagli, ecc. Lo zaino quando mi sposto è sempre con me. Dopo ogni shoot fotografico, prima di muovermi, faccio diversi backup del lavoro appena svolto per evitare di perderlo a causa di furti o incidenti. Cerco di essere il più ordinato e preciso possibile, perché altrimenti il disordine si rifletterebbe sul mio lavoro e sui miei scatti. Per un fotografo professionista trovo sia un aspetto molto importante.

Sei sempre stato così preciso e metodico o l’hai appreso col tempo?

No, io sono sempre stato un po’ pasticcione da piccolo. Lo sport mi ha instillato rigore e disciplina, partendo dalla cura dei vestiti e dei ferri per esempio. Anche andare all’estero a 19 anni mi ha aiutato a responsabilizzarmi, senza dubbio. Infine, il lavoro in agenzia ha completato la definizione del mio metodo di lavoro e anche il mio approccio alla vita in generale.


Per gli scatti sul campo quanto è importante cogliere il momento improvvisando la situazione e quanto invece è importante aver pianificato lo scatto?

Prima di ogni lavoro studio la location guardando il sito e facendo un sopralluogo, per rendermi conto degli spazi, del movimento del sole, ecc. Quando poi scatto durante il giorno dell’evento mi lascio guidare dall’istinto, ma c’è molta pianificazione, per esempio, nello scegliere l’obiettivo adatto o la posizione migliore a seconda della foto e del risultato finale che ho in mente. Durante gli shooting c’è sempre un filo di ansia, perché bisogna rimanere all’erta e cercare di non perdersi momenti importanti. La pianificazione serve proprio a questo. L’ansia ti aiuta a stare attento e la provo ogni volta, perchè voglio sempre superarmi e dare il meglio. Quando poi sono nel vivo dell’azione, durante le gare, bisogna anche scegliere chi seguire, e a volte non basta guardare il tabellone dei risultati per capire dove sta succedendo qualcosa di interessante. Per farlo studio i giocatori durante le prove, guardo i loro social nei giorni precedenti, cerco di intuire la situazione in tempo reale, per capire se il golfista che sto seguendo si trova in un flow positivo o se si trova in una fase negativa. È molto importante intuire lo stato psicologico degli atleti a seconda dei momenti.


Sei un nostalgico dell’analogico o credi nelle nuove tecnologie?

Io ho iniziato con la macchina digitale e apprezzo molto la tecnologia, scatto anche con l’analogico ma decisamente non sono un nostalgico. L’analogico ha senz’altro una magia particolare e riconosco la bravura dei fotografi del passato: anche solo il fatto di dover tenere il conto a mente degli scatti a disposizione sul rullino è una cosa davvero complicata da gestire. Se non esistesse il digitale il nostro lavoro sarebbe molto più complicato, invece grazie al progresso tecnologico ogni anno sta diventando sempre un po’ più “facile”.

Hai un campo preferito dove scattare?

Come dicevo prima, il St. Andrews più di tutti. Ma anche in Italia ci sono campi in cui è magico scattare, come il Golf Club Milano, il Golf Torino e l’Olgiata Golf Club. Anche l’Adriatic di Cervia, con i suoi pini marittimi e la vista sul mare, è molto suggestivo. Una location davvero particolare in cui mi è capitato di fotografare è Dubai: ti trovi su un tappeto verde in mezzo ad un deserto e sullo sfondo ci sono quei grattacieli modernissimi… pazzesco! Comunque ogni campo è un mondo a sé, il mio lavoro è quello di rendere interessante anche uno sfondo monotono e valorizzare al meglio l’ambiente in cui sono immerso. In linea di massima, dato il mio background, cerco di stare molto focalizzato sui giocatori e allargo il campo solo se lo sfondo è davvero suggestivo.


Altri campi nel mondo su cui sei stato?

Ho girato alcuni campi nel nord Europa, primi fra tutti la Scozia, dove ho avuto la fortuna di giocare e scattare in dei links davvero mozzafiato. Lì il campo da golf è nel suo habitat naturale, senza cose artificiali, solo erba, colline e bunkers, ovunque puoi giocare e scattare circondato da una natura molto suggestiva. Mi è piaciuto molto Royal Bled, in Slovenia... con i suoi laghi è spettacolare. Ma anche IL Doral di Miami.

Philip Geerts ci ha raccontato di essersi trovato faccia a faccia con un coccodrillo… Scattando in Sudafrica, ti è mai capitato di avere incontri ravvicinati con animali selvatici?

Certo! Antilopi, giraffe, zebre,... Gli animali si sono abituati e non temono più la presenza dell’uomo e neppure le palline che viaggiano a quelle velocità pazzesche.


Un giocatore che vorresti fotografare in azione sul campo?

Tiger Woods, ma forse è una risposta troppo banale. Ci aggiungo Rory Mcllroy, Justin Thomas e Andrea Pavan.


Il tuo guru/professionista che consideri come fonte di ispirazione?

David Cannon. Ha un’esperienza di 40 anni come fotografo di golf, sono sue tutte le foto più famose ed importanti dei grandi campioni. È un modello che studio e prendo ad esempio anche a livello personale: dopo tutta una vita ha ancora la voglia di farsi i chilometri sui campi con la macchina al collo. Incredibile!

Ti è mai capitato di andare in campo con la sacca da golf e con la macchina fotografica? Sperimenti su di te inquadrature che vorresti poi utilizzare?

A parte in gara sì, sempre. Non uso l’autoscatto perché non mi piace molto rivedermi, non sono un tipo egocentrico. Ma provo sui miei compagni di gioco, approfittando di ogni occasione per migliorare. Quando ho una giornata libera, anche se non mi è stato chiesto, vado a seguire i campionati italiani e fotografo il più possibile.


In quei casi puoi accedere liberamente?

Sì, grazie ai vari accrediti e pass che mi vengono riconosciuti in quanto fotografo della Federazione. EVITEREI!


Come gestisci liberatorie e permessi nel tuo lavoro?

Diciamo che dall’arrivo dei social media, il discorso delle liberatorie è diventato meno restrittivo. Quando voglio postare foto online cerco di contattare direttamente i soggetti per chiedere loro il permesso di farlo. A volte sono gli atleti stessi o il loro manager che mi chiedono di pubblicarle, oppure di inviare loro del materiale da utilizzare a fini promozionali. Una volta che una foto è in rete, la proprietà intellettuale rimane del fotografo, ma è ad uso e consumo di tutti gli utenti. In linea di massima quando usi una foto a titolo gratuito, come faccio ad esempio sulle mie vetrine social, non ci sono grossi problemi. Il discorso è diverso se vuoi utilizzare uno scatto a scopo di lucro senza le necessarie autorizzazioni… Sono aspetti a cui bisogna prestare particolare attenzione. Io cerco di essere sempre il più possibile rispettoso dell’etica e dei professionisti di questo settore.


Un altro sport che ti piacerebbe fotografare?

Sci, snowboard, surf. Dato che il golf, al livello in cui lavoro, è un impegno stagionale e non mi tiene occupato per tutto l’anno, per il mio futuro prevedo di affiancare la stagione di fotografo da golf a quella di uno sport invernale.


Progetti fotografici futuri?

Uno su tutti: la Ryder Cup nel 2023. Spero di essere sul campo a scattare durante quell’evento, se tutto va bene dovrei essere fotografo per la Federazione durante l’evento. In linea di massima, vorrei rimanere in questo settore e continuare a lavorare in eventi di alto livello, dando il meglio di me ogni volta e affinando sempre di più la mia tecnica.
Una chiacchierata interessante con un professionista disponibile, dotato di una passione indiscutibile per questo sport e con occhio di riguardo per gli atleti che lo praticano. Non possiamo che augurare a Filippo il meglio per la sua carriera e il suo futuro.
Sul nostro blog ci sono altre interviste interessanti come quella ai nostri giocatori e ambassador Philip Geerts e Lucrezia Colombotto Rosso… non perdetevele!